<Angolo Recensioni>

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    "Riunione di vecchi amici"

    Ci siamo! I Digimon “sono tornati alla luce dopo il black out”, hanno emesso il loro grido di battaglia dopo anni di vuoto, e liberato i fan da quell’ assordante silenzio che sentivano a piene orecchie e che ora può considerarsi sconfitto. La Digi-fenice è risolta dalle ceneri, signori e signore!
    Tuttavia, bisogna pur sempre estrapolare del senso critico per dissipare la fitta nebbia dei "nostalgic feelings" che con facilità appanna la vista, specialmente quella dei fan "older". Purtroppo quello che inizialmente si avverte in Saikai è un’animazione talvolta “statica" e non sempre fluida; il film soffre di un’impianto visivo e tecnico che non è stato sfruttato al massimo delle sue potenzialità. I difetti sono ben chiari e poco “definiti”, di conseguenza l’animazione inciampa un po', e le digievoluzioni "non evolvono". A questo proposito, le diramazioni in CG mantengono una linearità coerente nel contenuto, ma carente nella forma. La sequenza evolutiva, aderisce al tipo di concept adottato: emula il Tamagochi, concetto astratto e concreto da cui emerge il tema della “rinascita” che intrappola come una fitta rete informatica l’intero film, richiamando non solo il meshup evolutivo adventure/tamers, ma anche il prologo di stampo "platonico". Se è proprio quell'uovo ad essere l’origine catartica e contorta di tutto, peccato che alla fine la frittata sia riuscita male. I Digimon sembrano pupazzi di plastica usciti dall’ovetto kinder e risultano ingessati in glaciali pose da combattimento. Una "retroversione involutiva" che a volte abbozza l'intera kermesse dei personaggi (chi avrà sputato sulle tavole di Astuya?). Ma nonostante venga registrata qualche scena davvero imbarazzante in cui si dimena un Kuwagamon alquanto “wago” e un Greymon legnoso, in generale il chara design e il restyling, stuzzicano l’appetito visivo dei fan. Il nuovo stile grafico si adegua all’aspetto “puccioso” e “kawai” dei mostriciattoli digitali, rimarcando fedelmente la loro multiforme espressività. Tuttavia è meglio non lasciarsi imbambolare da quegli occhioni strabuzzanti, perché quando occorre, i ‘nostri’ non esitano a diventare delle vere e proprie “macchine da guerra hitech”; un digi-binomio che pare cominci a frammentarsi e al contempo prendere forma all’interno della storia. I Digi-mostri sono distruttori o salvatori? Il film pone l’accento anche su questo aspetto: cosa succede se le certezze che un tempo reputavamo assodate, cominciassero a vacillare? A rimarcare questa antitesi è proprio il Digiprescelto del coraggio, il cui suddetto emblema pare essersi momentaneamente freddato.

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    "Adesso vedo molte più cose... ma capisco sempre di meno"



    Complici gli sbalzi umorali che scombussolano un'età dalle mille incertezze, il bel prescelto sembra stia attraversando un percorso di formazione speculare a quello degli altri, ma più incisivo. Siamo abituati ad un Tai contrito nel suo ostinato disordine caratteriale, che spesso non è riuscito a stemperare poiché dominato dall’impulso di agire più col cuore che con la testa, ma che alla fine ha sempre trovato un ordine e un suo equilibrio. Si è trasformato in un leader a tutti gli effetti nel momento in cui è stato necessario assumersi a pieno titolo le proprie responsabilità. Ma prima di essere un Digiprescelto “virtuale”, Tai è un ragazzo “reale”; un ragazzo che diventerà adulto. I suoi sentimenti sono palpabili, e il medesimo timore che ne scaturisce è oltremodo giustificabile. Taichi è cambiato principalmente perchè ha imparato ‘troppo’ e ha sofferto abbastanza dai suoi errori passati, e adesso il suo indugio nel fiondarsi senza alcuno scrupolo in battaglia non è codardia, ma semplicemente timore. Ora il suo animo si contorce in una paura diversa da quella che aveva imparato a scrutare da bambino; si tratta di una paura rivestita da oneri molto più pesanti e dolorosi. La materialità si smaterializza laddove i sentimenti prendono corpo e risultano quindi tangibili, e dove si concretizzerebbero se non nel mondo reale? Taichi è meno incurante verso il mondo che lo circonda e oltremodo lo osserva, ma è frenato dai dubbi che smorzano la sua avventatezza. Inoltre, sembra soffrire di una sorta di "eritema verbale" nei confronti dell'amico Yamato; la loro incompatibilità non si esaurisce più in lotte sconclusionate e dal solo impatto fisico, stavolta il vero motore d'azione rimane incagliato tra le fenditure di un conflitto mentale, più adulto, intervallato da gelidi sguardi e da un soffocante silenzio provocatore e prevaricatore.

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    Dunque, il fattore umano risulta essere tuttora il cuore pulsante della storia, da cui traspare il rapporto inscindibile dei ragazzi con i loro partner digitali. A tal proposito, una delle scene più toccanti si evince quando Tai chiede ad Agumon un parere sullo stato d’animo che lo attanaglia, e lui teneramente risponde di “non sapere”. E’ vero, il piccolo Digimon non comprende in fondo quali turbamenti sovrastano il giovane uomo incurvato vicino a lui, tutto quello che gli basta è sprofondare nella genuinità di quell’abbraccio - che noi conosciamo molto bene - quell’unione è per lui la cosa più importante, l’unica certezza a cui aggrapparsi per lottare fino alla fine.

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    Sono molteplici i riferimenti di questo ova con le serie principali e i relativi movie. Il film gronda di simboli, metafore, allusioni, scene già viste e parole già dette, che si intingono di nuova linfa e scorrono come un fiume in piena insinuandosi negli interstizi della memoria, adesso più viva che mai. Da ciò è facile trarne un’aderenza nostalgica che ha un feedback emotivo di grande impatto sul pubblico. I Digiprescelti non hanno perso la loro “tridimensionalità” e sono sempre rimasti fedeli a se stessi. E’ stato proprio come rincontrare dei vecchi amici. Magari più alti e con qualche grattacapo in più, ma sono Loro! Ora i nostri ragazzi sono cresciuti, o per meglio dire “evoluti”, e si barcamenano tra i prime affanni amorosi e le paure per il futuro.

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    Altra nota positiva è senza dubbio il comparto sonoro, lustrato ad hoc per l’occasione. La storia è velata ritmicamente dalle melodie nostalgiche delle ost che enfatizzano i momenti clou del film, mirando a sottolineare la suspense che trabocca in particolar modo dalle battaglie. Ultimi in ordine di apparizione ma non meno importanti: Alphamon e Omegamon. La loro maestosa imponenza era già stata sbandierata nei PV e poster promozionali, e quindi nessuna sorpresa se non tanto hype pompato a dovere! D’altronde si sa che le vere star si fanno aspettare, e alla fine loro si annoverano tra “vincitori” di questo primo capitolo.
    In definitiva “Reunion” ha riunito 'tutto' e tutti, e ha gettato la rete per i prossimi film, offrendo numerose chiavi di lettura e spunti interessanti che saranno oltremodo indagati in seguito. A noi non resta altro che attendere…
    Ormai abbiamo imparato a farlo, e dopo tutti questi anni possiamo vantare di anticorpi invincibili... o quasi.

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    Edited by PinkHat - 8/11/2016, 23:54
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    "Il festival dei sentimenti"

    Con questo secondo capitolo, abbandoniamo l'impatto adrenalinico, il ritmo incalzante e dinamico, registrato nel primo film, per inoltrarci invece in un nucleo più intimo, a tratti serrato, e procrastinato da un'azione "passiva" che percuote silenziosamente e con riserbo il cuore pulsante della storia. "Stavolta gli occhi sono in grado di ascoltare ciò che le orecchie non sentono". Un traboccante realismo si contorce in immagini vivide e piene di pathos, alternandosi a momenti di relax dallo spaccato slice of life che invitano lo spettatore a condividerne l'atteggiamento ironico e spensierato dei personaggi, contribuendo oltremodo a stemperare l'ansia galoppante, coagulata in particolare da alcune scene; a stringerne le redini sono Mimi e Joe, protagonisti indiscussi di Ketsui, il cui ruolo è fondamentale nella resa altisonante del film. Due modi diversi di vivere la vita, nel secernere emozioni e calibrarne i sentimenti; percorrono strade diametralmente opposte ma al contempo speculari, che alla fine confluiscono nel medesimo destino, quello di ragazzi prescelti. Entrambi vittime consapevoli dei propri errori, si trovano costretti a stritolarli fino al limite per poi rilasciarli; solo così è possibile liberarsi dai reflussi esasperati e deformati di un contesto sociale claustrofobico e ingabbiante - come quello giapponese - che spesso non esita a correre più veloce di loro.



    "Sono stufa di me"

    "Sono disgustato da me stesso"



    Un po' principessa, un po' guerriera, Mimi dimostra di avere un grande senso del dovere e una shekerata personalità manifestata sempre in prima linea. Dare per scontato che le proprie idee possano sortire un riscontro positivo e una sicura approvazione anche negli altri, porta però la Digiprescelta a ferire chi la circonda e in particolare Palmon. In questo contesto, Mimi diventa un mezzo espressivo per contestare ciò che il senso comune della realtà giapponese attribuisce senza velature ad alcuni slang socio-culturali, in particolare "Jikochu" , termine con il quale la ragazza è stata bollata dalle sue compagne di corso a ragione del suo atteggiamento "egoista e fastidioso". Ma la Tachikawa è una ragazza emancipata, battagliera, alternativa, forte e fragile nel dolore, e nel film dimostra di avere una spiccata conoscenza delle usanze culturali di casa propria ma anche di quelle oltreoceano. In lei convivono tradizione e innovazione, occidente e oriente; elementi che la inducono ad esternare la sua irrefrenabile creatività ed effervescente simpatia. In definitiva è una donna padrona delle sue emozioni e bastante a se stessa, portatrice fiera di un excursus mentis diverso da quello più timido, castigato e remissivo di Meiko e della maggior parte delle sue coetanee: "tutte le ragazze fanno così". Il suo egocentrismo fa da ago della bilancia nel momento in cui risulta efficace e giusto nel trascendere le regole imposte dalla collettività, e proprio in tal senso, l'ex principessina riesce a scrollarsi di dosso un'etichetta le cui sfumature negative, in conclusione le risultano estranee, riformulando oltremodo una identità propria e più consona alle sue corde, che nella sua intensa spontaneità risulta impossibile da snaturare.



    Ma se Mimi si espone troppo, esibendo le peculiarità del suo carattere senza mezzi termini, Joe si espone troppo poco, preferendo rinchiudersi in un vortice solitario di sentimenti repressi. Il ragazzo sfugge alle responsabilità di Digiprescelto ricacciandone un passato che con Gomamon è sempre presente e concreto, così finge "ciecamente" di non vederlo, aggrappandosi alle obbligate responsabilità di "adulto". Perennemente in bilico tra l'inattività della frustrazione nel non poter/voler incontrare i suoi amici, e appannato dal timore di non riuscire a soddisfare le aspettative altrui, il ragazzo disorientato e immalinconito dalla solitudine, si perde a srotolare domande nel vano tentativo di trovare una risposta che possa giustificare il suo operato. Incapace dunque di prendere un'asciutta decisione in grado di esumarlo da un limbo di paure che continuano a fagocitarlo, si autodefinisce codardo, bagnandosi in copiose lacrime zuppe di pioggia, la cui forza vitale e rigeneratrice diventa contemporaneamente trauma e recupero di una stretta presa di coscienza. Solo allontanando quello che per lui sembrava essere "l'agente disturbante", ovvero Gomamon, ne carpirà l'effettiva vicinanza, guardando finalmente in faccia un destino a cui in fondo ha sempre saputo di appartenere e che ora non può più rimandare. In tale frangente, Hikari esorterà l'amico ad accantonare il destrutturante raziocinio, superare il vuoto dei suoi timori (che si riveleranno essere "più virtuali che reali" ) e bucare l'oscurità che lo stava divorando; in fondo, occorre mica una ragione per essere se stessi?



    I due ragazzi prescelti e i loro Digimon si ritrovano inconsciamente ad innescare Il processo "caotico" e "catartico" di apertura attraverso l'ignoto che percorre il leitmotiv profetico del film: "per superare l'oscurità, devi evolvere" , frase i cui veri contorni sono ancora sfocati. Ho apprezzato l'insospettata vicinanza - breve ma incisiva- di Hikari e Joe, il cui confronto nella serie non era mai stato esplicitato. Stessa sorte toccherà all'inedita accoppiata di Takeru e Koshiro, che sotto outfit fuori dalle righe, squisite caramelle al vetriolo, divampanti tempeste ormonali, hat-attack da infarto (divenuti ormai un caso mediatico), nascondono sempre ingegno e buon senso. Forse seguirà il binomio femminile composto presumibilmente da Hikari e Sora, la quale fino ad adesso si è limitata a "cucire da dietro le quinte" manifestando a chiare linee quella che sarà la sua occupazione futura. A tal proposito, sono sicura che la Digiprescelta dell'amore riserverà delle grosse sorprese, come spero dimostri altrettanto la nuova arrivata. Meimei è la tipica ragazza della porta accanto... o meglio "che sbatte nella porta accanto": goffa, timida, insicura, sostanzialmente la classica Moe-girl che calamita attenzione ad ogni "starnuto". Perennemente in simbiosi con Meicoomon, il digi-felino che la accompagna, e che senza troppi indugi è riuscito ad integrarsi nel gruppo dei suoi "senpai", da cui attinge una febbricitante curiosità per il mondo che lo circonda. Divertente il siparietto che incastra Leomon nel ruolo inedito di digi-sitter; il Digimon, più micio che macho è disarmato dallo sguardo languido di Meicoomon, e d'altronde come dargli torto, il piccolo Digimon trasuda zucchero e miele da tutti i pori! Peccato che sarà proprio quest'ultimo a spezzargli il cuor di leone. "Mei-chan" versione badass è molto figo, non c'è dubbio, ed è oltremodo certo che l'associazione segreta, il prof Daigo e in particolare Himekawa (il cui sorriso sornione non la racconta giusta) stiano alimentando un fuoco che comincia a puzzare di bruciato e che nondimeno contribuisce a fomentare la divampante curiosità del pubblico.







    Come il precedente film, anche Ketsui intreccia la sua matassa nei risvolti narrativi che accompagnano la vita dei ragazzi e quella dei partner digitali in continua mimesi con il mondo che li circonda, plasmandoli di materia viva e virtuale. In questo contesto, anche i Digimon si umanizzano, scucendosi il ruolo di "pupazzi" per incarnare la forma di "bambini" , e In tal senso sono numerose le scene che accarezzano questa idea. Dunque Il film, indagando sul tema del cambiamento in generale, concentra il suo occhio nella crescita emotiva e fisica dei protagonisti, travolti dall'onda motrice che genera l'esistenza, davanti a cui il più delle volte ci si ritrova impreparati e costretti a prendere decisioni inaspettate. Ma la pellicola è ambivalente: se da un lato riesce a fondere con leggerezza e coinvolgimento emotivo la narrazione di un itinerario di maturazione, schiacciando energicamente il pedale dell'emozioni, dall'altro accellera bruscamente sul finale, lasciando lo spettatore in apnea. Ketsui esaurisce il suo respiro sul più bello, il classico cliffhanger da cardiopalma che risulterebbe più facile da digerire e somatizzare se non fosse per la massacrante attesa che ci spetta prima del prossimo ova a Settembre. Il film fila liscio come l'olio nel vero senso della parola; è scivoloso come una saponetta. In sostanza, tra una carrelata di trovate azzeccate e qualche scena omettibile, non riesci a percepire a pieno e concretamente il filo logico in cui si inerpica la storia. La "nuova" digievoluzione avviene quasi di passaggio e in maniera così repentina da non rendere giustizia alla "petalosa" Rosemon e al mastodontico Vikemon, le cui animazioni, tormentate ancora una volta dalla poca fluidità, si impantanano e zoppicano per tutta la sequenza di battaglia contro Imperialdramon. In sostanza "Determinazione" ha molta "sostanza" ma è poco determinante ai fini logistici di trama, si crogiola in un mercificante - ma giusto ed attuale fanservice - sorvola con pigrizia alcuni palpabili trascuratezze, ma alla fine ne coglie l'ispirazione, centra il bersaglio e non da' nulla per scontato.



    Edited by PinkHat - 8/11/2016, 23:54
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    "Legami spezzati"

    Il triquel tinge di giallo una nuance umorale che imbratta lo script-wall di un capitolo avido di suspense e gonfio di lacrime.
    "Confessione" è il film dei fan per il fan. Gravido di emozioni, insaziabile, reca ai suoi "figli" la pallida vertigine di un torbido flusso di coscienza che, ovattando i sensi, trascina lo spettatore in ginocchio, fino all'istante immobile dell'happening. Proprio l’acuta introspezione che sviscera e giustifica uno dei nuclei più importanti del format Digimon, tracciato nei primi due capitoli di tri. – il legame simbiotico tra Digiprescelto e partner – diventa in Kokuhaku ancora più membranoso e confidenziale. Abbiamo già visto come in precedenza tale rapporto non è unicamente circoscritto alla materiale ed "autistica" visione del Digimon = pupazzo, ma è stato ampiamente traslitterato nella combo Digimon = bambino, e ora amplia i punti di contatto in un ventaglio bilaterale che si estende ad un concept "più adulto". Di fronte a una situazione minata dal pericolo, in cui una "Homeostatica" Hikari diventa la portavoce, i Digimon si trovano costretti a maturare progredendo verso nuove responsabilità, fino ad abbracciare un enorme sacrificio. Sono però le parole di Himekawa a condurre i mostri digitali verso un'inappellabile ed amara percezione condivisa: per curare un sistema ormai corrotto dallo straripante virus, è obbligatorio un ripristino totale (Reboot) di Digiworld, in questo modo, anche il Real-world ne trarrà beneficio evitando il black out. Tuttavia un "riavvio" comporta inesorabilmente la rimozione dell'intero corredo informatico e, nello specifico, il ricettacolo di memorie che lega ogni Digi-abitante al suo partner umano. Dunque il Reboot è la fine di un nuovo inizio, laddove per determinare un progresso è fatale un regresso, che diviene costruzione e decostruzione di un pressing emotivo devastante. Poichè ormai "non c'è più tempo", l'unica salvezza è non perdere tempo.

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    Così i Digimon decidono di scoprire i loro punti vitali e colmarne le suddette cavità, prima di regredire in nude scatole vuote; ricambiare ed essere grati ai propri compagni umani, incastonando le ultime tessere di puzzle, il cui distacco è imminente. Difficile frenare il filobus delle emozioni che, come un rapido déjà vu marcia su binari a noi conosciuti. Un magnetico ingranaggio incastra chirurgicamente ogni Digimon al proprio tamer: è schietto ed energico come quello instillato dall'unione di Taichi e Agumon, rapito da sonori silenzi è il legame empatico di Yamato e Gabumon, apprensivo e più materno è il tessuto che cuce Sora a Biyomon, un rapporto linfatico e genuino, lubrifica le arterie di Mimi e Palmon, scanzonato e terapeutico, accorpa le vertebre di Jo e Gomamon, mentre una unione ferrea e complice calàmita Hikari alla sua Gatomon. Tuttavia,ad ammorbare una situazione prossima al collasso è il ritratto clinico di un virus in espansione che, nonostante le sagge e preventive manovre di Koshiro, non lascia via di scampo ai nostri amici. Difatti, mentre l'enigmatico nerd si arrovella tra uno status confuso e un infuso, abbozzolandosi catatonico e inerte in un gomitolo annodato da dubbi, il piccolo Patamon parcellizza i primi sintomi d'infezione, i quali non riescono a sfuggire ad un incredulo Takeru.

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    La fissità cerea delle pupille, esplode in una reazione di incotenibile violenza, che affonda e si esaurisce in un morso cutaneo al biondo Digiprescelto. Una sorta di meccanismo di difesa e frustrazione porterà entrambi a seppellire il segreto in un avvitato abbraccio consolatorio. Ma le ferite bruciano, fessurano tacite il dolore ulcerante di un addio e una lucida rassegnazione.

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    Però il Digiprescelto della speranza non è il solo a deglutire in una stanza buia la sua angoscia, il corpo scosso dai singhiozzi e dalle lacrime ruvide è lo stesso in cui è intrappolata Meiko. In essa scorre un fiume sotterraneo di sentimenti repressi che la trascinano in una depressione senza un'apparente uscita. Invece di resistere alla debolezza aberrante, la megane si abbandona a quest'ultima, crogiolandosi in un senso di colpa indefinito come il peccato originale, di cui Meicoomon è il primitivo fautore. Il suo percorso, dilaniato da paure e rimorsi è interrotto da alcuni flashback che svelano i retroscena delle vicende tuttora in corso; ritagliano in frammenti di vetro il primo incontro con il Digimon, ora relegato ad una forma tragicamente lontana da quel micino che tempo fa le aveva sbarrato gli occhi da un cespuglio. Meicoomon si contorce in una tenebra che propaga se stessa ma di cui però ne è vittima involontaria. "Non importa di chi sia la colpa. Si tratta di ciò che faremo ora!" Le parole di un rinfrancato Takeru, scaldano l'abisso interiore della ragazza, che raccogliendo i cocci del passato, rinsavisce. Per quante volte si rovesci il bicchiere, lei rimarrà sempre la compagna di Meicoomon; il loro rapporto è cicatrizzato in un amore completo, in cui a volte bisogna condividere lo stesso "graffio" per avvicinarsi, maturare e diventare più forti.

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    Ma il trivial irrisolto di domande si aggroviglia ancora nel grembo del film, lasciando lo spettatore in apnea. Il Sig. Mochizuki - uno dei membri dell'associazione segreta - è davvero il "padre" che ha generato questa coppia di fatto/misfatto? Himekawa, la quale continua a celare le sue vere sembianze dietro una farisaica double face, decide finalmente di gettare via la maschera; scopriamo che non è l'unica a lambire i contorni di questo ricamo artefatto, poichè un Gennai dalla bussola morale smagnetizzata fa la sua breve ed incisiva apparizione. Dunque, il film sembra aver superato l'ostacolo che in precedenza era stato temporaneamente aggirato, ed è proprio questo limite appena valicato che attrae il pubblico. Oltre ad esso, inizia il mistero sul quale Digimon tri. si interroga, impregnandosi di quell'intricata materia dell'impossibile che diventa possibile, che non può e non deve essere dimostrato dalla scienza ma solo dai suoi fieri protagonisti. Ora è proprio il Digiprescelto della conoscenza ad imparare dal suo Digimon. L'estrema consapevolezza che da uno spazio smisurato e ignoto si arriva a un universo ancora più vasto e incomprensibile, scoraggia e tormenta il povero Koshiro che, stavolta pare essere più incline all'esasperazione che alla sperimentazione. Ma l'accoglimento dell'ignoranza come parte integrante di un percorso intellettuale è la crisalide cognitiva da cui filtra la luce primordiale e frenetica del sapere.

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    Tuttavia "l'apocalisse informatico" non tarda ad arrivare: il conflitto tra Meicoomon e i Digi-eroi, picchia voracemente tra un frame e l'altro; è una rincorsa ossessiva contro un male inafferrabile, finchè il bulimico parassita non inghiotte il Digimon Angelo, divorando anche gli altri in un vortice malato di follia e livida disperazione. Toccherà ad HerculesKabuterimon, ammansirne le sorti, diventando la solida corazza e scudo impermeabile di un embrionico senso di pietà, giustizia e fratellanza. E così, mentre un nuovo countdown asmatico batte il ritmo della tensione, il robusto scarabeo, chiudendosi in un hug-bug d'effetto e affetto, imbastisce una calotta dorata da cui sgorga un legame forte e imperituro, esercitato paradossalmente, attraverso la contusione del distacco fisico, di un sacrificio compatto e violento che, tuttavia riesce a cementare i rapporti e a garantire equilibrio e sussistenza. I Digimon escono di scena a testa alta, voltando le spalle ad un corteo di urla strozzate, timpani spenti e occhi annebbiati, mentre rosseggia lo screen dell'imperante "Reb00t".

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    E quindi, occorre davvero fendere l'oscurità per raggiungere un bene molto più grande? Il monito invisibile, inizia a cristallizzarsi nella mente dei ragazzi; al buio riesci a vedere una quantità di cose che l'uomo alla luce non può comprendere poichè diventa cieco. In perenne contrasto tra l'immobilità fisica e la reattiva mobilità dei sensi, i Digiprescelti arrivano all'accettazione di un presente che non bisogna più avallare: "Se aspettiamo...che arrivi 'un giorno', finiremo col diventare adulti!" Il tempo di essere "kodomo-tachi" non si è eclissato e arrota ancora su quel tram, in cui è bello ritornare bambini diventando sempre più adulti. Il girotondo catartico delle digipietre ha finalmente il rituale inizio: il portale - confine del cambiamento - si squarcia, e attrae i Digiprescelti verso un rewind-luminoso di ricordi.

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    Ma laddove il contagio emotivo giunge a spremere il muscolo cardiaco, l' orticaria visiva, provocata dal deficit inanimato continua ad appestare e calpestare un'anarchico comparto grafico che, imperterrito dorme sul solito cuscino di difetti. L'azione rimane inespressa in un vuoto ostruito da sgocciolanti frame; un' animazione povera, priva di stenti, e che stenta ad ergersi affannosamente su due zampe. I Digimon si ammassano in un turbinio caotico che pecca di incisività, sollevando - come d'abitudine -una randomica coltre di nuvole polverose che inibiscono le sequenze da impatto. Al consueto "tutto fumo e niente arrosto" si aggiunge un contorno di fermo immagine, sporcata da una ulteriore incoerenza qualitativa dei disegni e qualche scena riciclata. E non basta, la sensualità - ahimè, robotica - di Angewomon (mekauppata per il grande rebootto), l'intervento semi-salvifico di Angemon, il cameo di Jesmon e Alphamon, a distogliere l'attenzione del pubblico da un container grafico saturo di difetti palpabili e spolpabili, anche se è necessario occultarli per denudare il vero scheletro dell'opera.
    Kokuhaku non è solo ammissione e discernimento delle proprie fratture, ma una "battaglia intestina" contro un morbo invasivo che connette indissolubilmente Digimon e partner. Si tratta di una ferita epidemica ed epidermica, profonda ma risanabile, una storia di recupero e perdita in continua mutazione, che restituisce con efficacia l'importanza dei piccoli gesti quotidiani, degli sguardi pieni, e dei respiri incarnati in parole d'affetto; elementi che rendono i Digimon ben più di un semplice agglomerato di dati e pixel. E dunque, non resta altro che ri-avviare i ricordi e memorizzare con emozioni le immagini; d'altronde ciò che infetta i sentimenti è insanabile ed è stato già salvato nel "backup cardiaco". Ma affinchè la vita prenda vita è necessario credere di nuovo che da quelle digi-uova, tutto si è schiuso e può rinascere, tendendo una mano alle difficoltà, scardinando le porte dell'ignoto, e concedendosi con umiltà allo stadio primario della conoscenza. Ciò che è unico rimane indelebile, come il suono nostalgico di quel fischietto; la voce del risveglio, dal letargo emotivo e dalla rassegnazione paralizzante. Esso è, ed è stato il biglietto di andata e ritorno di una avventura che ora finalmente può evolvere: "basta non dimenticare i suoi abitanti, basta volerlo, e forse un giorno tutto potrà ricominciare".

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    Edited by PinkHat - 9/11/2016, 13:51
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    "Ed è così che siamo cresciuti"





    Edited by PinkHat - 8/10/2021, 19:47
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